Nobilitare l’emigrazione è utopia. Quando l’Europa avrà illuso “i sudditi” sulla intervenuta assenza delle frontiere, toccherà, a chi è nel bisogno, capire che le distanze misurano gli stessi chilometri di sempre. L’equivoco ambiguo, voluto da sempliciotti e fortunati, discende dall’arte sottile di convincere i meno provveduti che viaggiare sia facile, scegliersi un posto per vivere anziché un altro sia un gioco magico, le possibilità per muoversi, appannaggio di una minoranza di privilegiati, siano dettagli.
Attori, cantanti, sportivi con aerei personali, ricchi, attraverso le pilotate persuasioni di temperie, rafforzano questo fallace convincimento. Esiste invece, ancora massiva, l’emigrazione per la conquista del pane, per l’obliterazione dei sentimenti migliori, per il violentamento dei legami familiari più sacri.
Da questo omaggio alla disperazione nasce la commedia drammatica di Mario Pupillo costruita sul libro del cortese Emiliano Giancristofaro (“Cara moglia” lettere a casa di emigranti abruzzesi. Introduzione di Eide Spedicato lengo. Rocco Carabba Editore).
L’emigrazione trattata da Pupillo (e da Giancristofaro) possiede elementi tipici, simbolici, inamovibili: l’epoca va bene per qualche decennio fa e purtroppo anche per oggi; i poli di un’Italia “da dove” si emigra e, in questo caso, di un Belgio “dove” si emigra; il luogo di partenza di un Abruzzo ravvisabile verosimilmente come sud e per simbiosi perfida in un paese piccolo, agricolo; l’illetteratura a livello d’analfabetismo di chi non può intuire destini diversi dal finire surrettiziamente prigioniero rassegnato a scavare carbone nero in miniera buia a mille metri sotto.
Le scuole serali o private per gli emigranti sono insidie agli affetti tradizionali, ma tuttavia aiutano, attraverso lettere sgangherate e di scontato contenuto, a non spezzare il filo sfilacciato, con uno dei due capi al paese d’origine, donde i familiari s’ingegnano a rispondere con simmetrica umile scritturazione.
In chiave sociale resta una morale di fondo e di soggezione: è scontato che gli emigranti distinguano le avventure amorose dai sentimenti sani per la famiglia, rimediando la domenica a messa con un confessore bonario; è scontato che nel paese il potente non rinunci al suo preteso “diritto” di dominare chi ha bisogno della sua bieca “beneficenza”; è forse scontato che un’ombra d’idea finale di morte, emigrazione che ci riguarda tutti, si concluda al meglio, con un’ultima lettera alla “moglia” che trascende in ritornata serenità, sperando evidentemente che la vita volga comunque al meglio.
In fondo, scriveva d’Annunzio, “il tesoro dei poveri è l’illusione”
Francesco Paolo Cipollone
La trasposizione scenica di un saggio è una prova difficile e rischiosa. Ancora più complessa è la drammatizzazione di epistolari, come è “Cara Moglia-lettere a casa di emigranti abruzzesi” opera di Emiliano Giancristofaro che gentilmente e generosamente ha concesso l’utilizzo del suo lavoro agli “Amici”.
Il lavoro ha riguardato una stesura vera e propria di una piece evitando le letture sceniche, sempre efficaci ma lontane dall’impianto di un lavoro compiuto. Bisognava scegliere tra le tante lettere e collegarle fra loro con un filo rosso che raccontasse le vicende personali ma anche sociali dell’emigrazione.
Bisognava scegliere un luogo o i luoghi dove collocare personaggi, accadimenti, che provenivano da località distanti Italia-Belgio-miniera- baracche – campagna. Lo studio approfondito del testo rielaborato con una storia di “fantasia” guidata e suggerita dalle lettere permise di pensare ad uno spazio indefinito, flessibile, con diversi livelli e piani inclinati, che la suggestione della parola e il gioco di luci e trasparenze avrebbero trasformato nel luogo reale immaginario dell’azione scenica.
In questo l’intervento di Sergio Salicco, storico scenografo dell’Associazione, è stato fondamentale insieme alle musiche di Massimo Benedetti che, con la fisarmonica e altre strumentazioni, elaborò le suggestive musiche e il tema della piece. Complesso il disegno luci che Sirio Marfisi e Florindo Sangrelli hanno curato e gestito. Lo spettacolo nasce in due atti e vince tre premi al Marrucino ma soffre tre aspetti.
Si può realizzare solo in teatro, ben attrezzato e non in altri spazi per la complessità del montaggio, non si può proporre all’aperto ed inoltre esula, seppur corredato da momenti divertenti, dal postulato che il teatro dialettale debba necessariamente trattare temi ridanciani. Con gli anni lo spettacolo è diventato atto unico e se ne è giovato perchè non disturba quella tensione emotiva che si sviluppa gradualmente nel pubblico.
Dopo la trasferta di Spoleto nell’estate 2022, sono state proposte, a dicembre 2022 due repliche affollatissime al Fenaroli, sono state dedicate al prof. Emiliano Giancristofaro e a Massimo Benedetti in loro ricordo fra applausi e forte commozione. Un allestimento di “lusso” per un associazione amatoriale ma che ha il compito di far intravedere le potenzialità di un gruppo e di avere in archivio un lavoro prezioso.
Mario Pupillo
Foto della partecipazione in qualità di finalisti alla prima edizione del Festival Regioni d’Italia di teatro Amatoriale F.I.T.A. a Spoleto nel chiostro del complesso monumentale di San Nicolò mercoledì 27 luglio 2022. La manifestazione è stata inserita nella 33 edizione della Festa del teatro Italiano.
Lo spettacolo è stato in forse fino agli ultimi minuti per una improvviso intenso temporale che si è abbattuto su Spoleto accompagnato da grandinata. Le condizioni del palco erano precarie in quanto la pioggia ha bagnato le quinte e il materiale di scena, rendendo precario anche il movimento sui piani inclinati e sui diversi livelli della scenografia.
Si è deciso di rischiare iniziando lo spettacolo che comunque trova la giusta collocazione al chiuso in teatro e non all’aperto. Comunque è stata un’esperienza molto bella in una location prestigiosa che ha ripagato i sacrifici del presidente Ermanno Di Rocco e di tutta la compagnia.